Com’è noto, Charles Darwin scoprì che, in Natura, non sopravvive il più Forte, né il più Intelligente, né il più Crudele.
Sopravvive il più Adatto.
Quello, cioè, che si adatta meglio alle circostanze esterne. Quello più flessibile. Questa intuizione, che Darwin applicò alla Natura, in realtà si applica benissimo anche alla Società.
Fra gli uomini ci sono tre categorie di persone che sanno adattarsi alle circostanze. I Parassiti perché, per definizione, la loro sopravvivenza dipende dalla capacità di adattarsi agli “ospiti”. Gli Eroi, perché il loro eroismo nasce con, e dipende dalle circostanze esterne. Gli Artisti, perché appartengono ad una dimensione diversa da quella del quotidiano e non si interessano delle circostanze esterne se non in funzione della loro arte.
Parassiti, Eroi e Artisti ci saranno sempre, e sempre si scambieranno i ruoli. Pensate, per esempio, alla coppia Sordi-Gasman ne “La Grande Guerra”: è la storia di due Parassiti che diventano Eroi. Forse il loro eroismo era già implicito nel loro parassitismo: essi si adattavano ad una guerra che non capivano ed alla quale erano totalmente estranei. A pensarci bene, il loro cercare di sopravvivere in quella follia, ha già in sé qualcosa di eroico.
Pensate a quanti grandi Artisti hanno vissuto da Parassiti. Per un grande artista le preoccupazioni del quotidiano, dalla gestione della vita pratica alla propria sopravvivenza, pur essendo una dimensione necessaria sono, in fondo, psicologicamente irrilevanti. Per loro, la realtà non è infatti quella del quotidiano, ma quella che vi sottende. Una realtà più profonda, più insondabile, meno leggibile, ma ad essi chiarissima.
Gli artisti spesso collocano la propria moralità su di un piano diverso da quello degli altri uomini proprio perché avvertono che il comune senso morale poggia su basi in fondo superficiali. Consuetudini… tradizioni… pregiudizi. E’ eticamente accettabile ciò che permette loro di cogliere ciò che sta sotto alla realtà quotidiana, ciò che essa nasconde, e di esprimere la loro arte, al di là di quello che la Società considera eticamente accettabile per il resto del mondo.
La storia dell’arte è piena di gente che campa sulle spalle degli altri. Quella del Cinema, in particolare, abbonda di leggende picaresche sul modo in cui i grandi della Settima Arte abbiano succhiato il sangue, in senso economico o emotivo, o entrambe le cose, di chiunque avesse avuto la disgrazia di avvicinarli.
Rossellini si faceva prestare i soldi per i suoi film da chiunque. Una volta il suo macellaio gli prestò un milione. Il film non incassò e Rossellini non rimborsò il debito. In compenso, riuscì, incontrando per caso il macellaio sull’espresso Roma Milano, ad usare le ore di viaggio per convincere il poveretto a prestargli un altro milione. Credo che a nessuno venga in mente di considerare per questo Rossellini un uomo disonesto. E sono certo che egli non si considerasse tale. Disonesto si sarebbe considerato se, anziché fare “Paisà”, avesse usato quel denaro per fare un film qualsiasi.
L’Eroe. Qualche giorno fa un collega mi ha fatto una domanda sulla mancanza di aspirazioni di un personaggio. Mi è venuto istintivo di pensare all’eroe occidentale per antonomasia: Ulisse. Senza la Guerra di Troia, la circostanza che cambiò la sua vita, che eroe sarebbe stato Ulisse? Un re ricoperto di pelle di pecora, sovrano di qualche centinaio di pecorai come lui, confinati su di un’isoletta piena di pecore e olive. Senza le circostanze esterne, Odisseo non sarebbe mai esistito. Le sue aspirazioni originarie, che probabilmente si limitavano ad aumentare il numero delle pecore e delle olive, non ebbero alcuna relazione con la grandezza del suo personaggio, una volta messo di fronte alla necessità di combattere a Troia, per poi trovare il modo di tornarsene a casa sua, nonostante la stizzosa opposizione degli dei. Il re furbissimo si adattò benissimo alle circostanze esterne.
Se anche nella Società vale l’assunto di Darwin, ne consegue che affinché le persone eticamente migliori prosperino, è necessario agire perché le circostanze esterne richiedano, per adattarvisi, di essere eticamente migliori.
Se un Parassita, un Eroe o un Artista vivono in un mondo violento, eticamente inaccettabile e dominato dall’oscurità, la loro naturale propensione ad adattarvisi perpetuerà quel mondo. L’Eroe potrà certo morire sul rogo, l’Artista potrà certo trovare il modo di concepire la propria opera indipendentemente dal dittatore di turno, il Parassita riuscirà comunque a trovare il modo migliore di cavarsela, sia pure se, per farlo, dovesse mandare al rogo l’Eroe e tenere l’Artista in una condizione di perpetua censura. Ma le loro azioni, per quanto nobili, o ignobili, saranno reazioni adeguate alla realtà esterna, in assonanza con essa. Non saranno azioni di rottura, di rivoluzione di essa.
Direi che sia per questo che Eroi e Artisti vengano spesso completamente riconosciuti dopo la loro morte. Le loro imprese appaiono ai coevi come necessarie o irrilevanti, un pò folli o eccessive, a seconda del vento, perché le persone normali non possiedono l’istinto di adattamento alla realtà profonda che hanno loro. I coevi di questi perfetti adatti non capiscono la realtà alla quale devono adattarsi quanto la capiscono gli Adatti. Eroi, Artisti e Parassiti sanno istintivamente leggere le passioni oscure che agitano le società, cosa che il velo del quotidiano, che regola la vita di tutti noi, non ci permette di fare. Solo più tardi, i posteri si renderanno conto che il mondo che quelle persone leggevano non era che un prologo al loro Futuro.
Se la Rivoluzione è la rottura dell’Adattabilità, il vero Rivoluzionario, dunque, non può essere né un Parassita, né un Eroe, né un Artista. Egli deve essere una persona che non è in grado di adattarsi al mondo che lo circonda, perché ne coglie soltanto le ingiustizie o le brutture manifeste, ovvie, quotidiane. Il vero rivoluzionario deve essere costretto a cercare di cambiare il mondo nel quale abita, perché spintovi da una necessità interiore insopprimibile. Deve essere una persona destinata a soccombere, perché completamente inadatta, in senso darwiniano, ma non deve essere un martire (nel senso dell’eroe) perché il suo martirio sarebbe solo la riconferma del mondo che egli, o ella, cerca di sovvertire. Deve essere una persona che cerca disperatamente di adattarsi, senza riuscirci in alcun modo.
Il vero rivoluzionario ha dunque bisogno di essere povero, isolato, esiliato, umiliato, solo, inascoltato finché non scopre la sua reale vocazione. Non è una visione romantica questa. E’ una necessità. E, del resto, si tratta della condizione vissuta dalla maggior parte delle grandi figure rivoluzionarie del passato.
Ma, quando il vero Rivoluzionario, o la vera Rivoluzionaria, avranno finito il loro lavoro, il Parassita, l’Eroe e l’Artista dovranno trovare un nuovo modo di adattarsi. Se il Rivoluzionario avrà creato per loro un mondo migliore, queste tre piante umane, per loro natura, perpetueranno il mondo migliore, invece che quello peggiore.
Di questi tempi, i nostri poveri Eroi, i Parassiti e gli Artisti non aspettano altro che qualcuno si decida a ritenersi troppo inadatto alla Società per continuare a viverci. Purtroppo per noi tutti, la Società contemporanea, pur essendo in realtà una delle meno accoglienti che siano mai state concepite, eccelle nell’abilità di far sentire colpevoli gli esclusi, più che coloro i quali escludono. Ed, al di là della retorica, non è facile trovare qualcuno che, davvero, non trovi alcun modo per adattarsi all’aurea mediocritas nella quale tutti noi viviamo.
Ma il mondo non è un posto stabile, e la Speranza non muore mai. Sono sicuro che, in questo preciso istante, da qualche parte, qualcuno si sente tanto disperatamente Inadatto da pensare di non avere altra scelta se non quella di creare un mondo migliore per chi è più Adatto.