A blog about consequence and opportunity

Draghi. Il Politico.

E così si farà il governo Draghi. A giudicare dall’aria che si respira, si tratta di un governo che gode, in partenza, dell’approvazione di una maggioranza ampia di elettori. Se cerco di mettermi nei loro panni, la ragione di tanto sostegno popolare (Salvini è stato applaudito in un supermercato Conad di Firenze perché ha detto che lo sosterrà) è, a mio avviso, ovvia.

Le statistiche dicono che, quando si alzerà il velo che ha congelato il mondo del lavoro in quest’ultimo anno, i nuovi disoccupati saranno fra i 350.000 ed i 500.000. I pessimisti (come me) pensano che saranno molti di più. La cifra non tiene poi conto di tutti quelli le cui piccole e medie imprese saranno fallite. E’ plausibile, visto che ciascun disoccupato/imprenditore che ha chiuso ha mediamente una famiglia, che le persone in forte crisi (crisi di sussistenza) saranno alcuni milioni. Ancora, in un Paese che si regge sul nero, non sappiamo poi quanta altra gente avrà seri problemi di sussistenza a causa di questa immensa crisi. Semplicemente, gli elettori non ritengono che le forze politiche in Parlamento siano, da sole, in grado di fronteggiare una crisi epocale di queste dimensioni.

La percezione comune è che, al di là dei propri meriti e demeriti personali, Mario Draghi goda del prestigio, della capacità e dei contatti necessari per provare, almeno, ad evitare la catastrofe. Tutto il resto, compresa la pandemia, è secondario rispetto all’esigenza assoluta di porre un freno immediato alla deriva violentissima dell’economia reale.

Cosa implica l’arrivo di uno come Mario Draghi alla guida di un governo? Cominciamo col dire che questo non sarà un governo “lacrime e sangue” alla Monti. Non vedo perché dovrebbe esserlo. Monti arrivò sull’onda di una crisi del debito. Draghi arriva per spendere duecento-nove miliardi di Euro. Monti doveva chiudere. Draghi deve aprire. Personalmente mi aspetto anzi che, nel breve periodo, Draghi metterà in campo nuovi ammortizzatori sociali. Questo non significa che il suo sarà un governo particolarmente progressista, né che l’ammortizzazione sociale lo segnerà fortemente. Semplicemente, la mia impressione, se volete la mia speranza, è che in una prima fase, Draghi butterà molta acqua sul tanto fuoco che sta per manifestarsi.

E poi? Cosa altro implica? Molti, in questi giorni, si sono concentrati sul passato di Draghi per metterci sull’avviso rispetto al suo DNA di alfiere internazionale della grande finanza e dell’euroligarchia (Yanis Varoufakis fra tutti: https://www.newstatesman.com/politics/economy/2021/02/europe-isn-t-working). Il discorso intorno alla figura ed al carro al quale è attaccato il professore, tuttavia, non mi appassiona. Do per scontato che uno con il suo curriculum professionale abbia anche una forma mentis ed un’agenda politica che certo non esalterà i fautori del socialismo.

D’altra parte, non sono fra coloro i quali leggono in ogni mossa di Draghi un’azione a sostegno degli oscuri interessi delle élite della finanza mondiale. Per come la vedo io, Draghi ha sempre fatto nel modo migliore possibile, talvolta nell’unico modo possibile, il lavoro che, di volta in volta, gli è stato affidato dal proprio datore di lavoro: lo Stato italiano, Goldman Sachs, la Bce.

E certo che, spesso, queste azioni sono state più positive per le élite finanziarie di quanto non lo siano state per le popolazioni. Ma questo è determinato dal Sistema nel quale viviamo: non dalla cattiveria o dalla disonestà personale di Draghi. Sarà meglio ricordarci tutti del fatto che viviamo in un mondo capitalistico, nel quale la finanza ha sostituito, negli interessi delle élite, l’economia reale. Le grandi aziende investono i loro profitti nell’acquisto delle loro stesse azioni, allo scopo di aumentarne il valore. E’ così che moltiplicano i guadagni, pur licenziando i dipendenti e riducendo la produzione.  

Ma, per quanto mi renda conto che ciò sia opinabile, ritengo che la famosa “salvezza” dell’Eurozona grazie all’altrettanto famoso “whatever it takes”, sia stata soprattutto un bene per le popolazioni europee. Quelli che dicono che il quantitative easing ha salvato le banche dimenticano che le banche sono piene dei soldi dei risparmiatori.

L’arrivo di Draghi apre però due questioni politiche. La prima è il famoso dibattito sui “competenti” in Politica, il secondo quello dello “sdoganamento” della Lega come forza credibile e affidabile agli occhi dell’Europa e del resto del mondo.

E’ noto che la nostra classe politica, ma direi più o meno la classe politica occidentale in generale, soffre da molti anni di una cronica insufficienza nel proprio processo di selezione. Nel nostro Paese, questa mancanza ha cominciato a manifestarsi con il berlusconismo. Forse c’è persino un momento preciso nel quale quel mondo è improvvisamente cambiato: il faccia a faccia televisivo fra Berlusconi e Occhetto, officiato da Mentana, nel 1994. La famosa storia della giacca marrone del segretario dei “post comunisti”.

Il povero Akel avrebbe anche potuto essere Churchill: in quell’istante fu chiaro a tutti che la politica come dibattito di idee (forse anche perché in quel caso le idee non erano stupefacenti, sebbene migliori di quelle suggerite da Berlusconi) era finita, e che cominciava quella dello spettacolo. Un altro divo del palcoscenico come il primo Bossi trascinò con sé e con i suoi celti di Brembate quello che restava della politica delle idee.

La tendenza è andata crescendo negli anni, esplodendo definitivamente con i social network. La brevità dei messaggi favorisce la creazione di slogan a getto continuo. La sensazione di essere tutti sullo stesso piano demolisce l’aura di rispettosa distanza della quale una volta i politici erano circondati. Oggi un discorso come quello sulle “convergenze parallele” non potrebbe nemmeno essere concepito da un politico: figurarsi se possa essere pronunciato. I politici non vanno più nemmeno a caccia di sondaggi, ma di Like su Facebook. Figli, in questo senso, del berlusconismo e del primo leghismo, i 5 Stelle sono poi venuti a completare la distruzione dell’idea per la quale uno che fa politica debba avere delle competenze.

Ma quali competenze? Il discorso sui competenti ha preso una deriva sciocca ed elitista. Io ho bisogno di un competente per rifarmi i denti, non per decidere se debba o meno fare parte dell’Eurozona. Per questa seconda scelta ho bisogno di cultura, non di competenza.

Le competenze delle quali ha bisogno la politica sono competenze culturali, non disciplinari. Farebbe bene un politico a conoscere la Storia. La Filosofia e la Filosofia Politica. L’Economia e la Storia Economica. Le Arti, tutte. La Filosofia e la Storia del Diritto. La Matematica, intesa nel suo senso filosofico. Il politico non ha alcun bisogno di conoscere i dettagli delle singole discipline: per quelli ci sono, appunto, i competenti. I tecnici. Il politico deve avere un progetto politico, non un progetto manageriale.

La differenza è molto semplice: il politico è un visionario. Uno, o una, che abbia un punto di vista complessivo, non specialistico ma generale, della società e di dove pensi di condurla. Se Draghi sia in questo senso un tecnico o un politico lo scopriremo fra poco: di certo alimenta il sospetto di avere almeno una vaga idea di chi fosse Shakespeare.

La cultura non la si ottiene solo grazie ad un percorso standard, fatto di scuola e università. E un patrimonio a disposizione di tutti. In questo senso, il più democratico che esista. Ma non averla, e non cercarla, non è sinonimo di democraticità. E’ sinonimo di superficialità. Una cosa è non avere cultura, molto diverso è teorizzare che la mancanza di cultura sia un tratto rivoluzionario, popolare e democratico. Non c’è niente di democratico in un politico che non sappia mettere due parole in fila. E questo non ha nulla a che fare con i “competenti” in politica.

Negli ultimi trent’anni i partiti politici hanno, per mille motivi, svillaneggiato non la competenza, ma la cultura, portando in Parlamento gente che non sa nulla di nulla, non gente incompetente in questa o quella materia specifica.

C’è poi la questione della Lega. La Lega è il più vecchio partito in Parlamento. Ha cambiato anima diverse volte. Da secessionista è diventata nazionalista. Da pagana è diventata cattolicissima (ricordate il Sacro Cuore di Maria?). Da antieuropeista è diventata, pare, convintamente europeista. Ovviamente non ha mai cambiato nulla.

Essa rappresenta e rappresentava quella parte della cittadinanza che si riconosce in un piglio pragmatista, che bada al “buon senso”, che difende i propri interessi con le unghie e con i denti, anche quando i propri interessi sono contrari al “buon senso”, che a parole detesta la corruzione, finché non ha personalmente l’occasione che rende l’uomo ladro. Allora, si media, si fanno i distinguo. Ironicamente, se c’è un partito che rappresenta perfettamente i vizi dell’italiano dell’icona romana per eccellenza, Alberto Sordi, quel partito è la Lega.

Ora, si dà il caso (ma appunto, non è un caso, ma la naturale conseguenza della sua essenza “sordiana”) che la Lega sia, nei sondaggi, primo partito in Italia. E’ chiaro che, se si andasse a votare, la Lega vincerebbe le elezioni. Ma rimarrebbe, nel suo DNA, quel sovranismo del quale è portatrice, quel germe potenzialmente disgregatore dell’Unione Europea. Un governo di centro destra, con la Lega e Fratelli d’Italia a tirare, è un governo che l’Europa non accetterà mai. La UE non può permettersi un’altra Brexit.

Perché, al di là delle convenienze economiche delle élite finanziarie, la UE esiste per un unico, e sacrosanto motivo: per regolare senza spargimenti di sangue, e dopo due guerre mondiali, la millenaria questione della supremazia sul continente, contesa da mondo germanofono e mondo francofono all’interno di un’alleanza cementata dagli interessi economici. Questo è ciò che i detrattori della UE non capiscono: l’Unione Europea non esiste per preservarci dai pericoli esterni, o per permettere ai suoi oligarghi di prosperare. E’ nata ed esiste per proteggerci da noi stessi e dalla nostra Storia.

Per inciso, non credo che la Lega promuoverebbe mai sul serio un’Italexit. Così come i personaggi di Sordi non si sarebbero mai affrancati da quel sistema che essi condannavano ogni cinque minuti, ma che dava loro da mangiare. Purtroppo, questo gli altri europei non potranno mai capirlo fino in fondo.

La UE sa che non è più possibile rimandare l’appuntamento con Salvini: gli elettori italiani non vedono l’ora di votarlo. E allora, sembra abbastanza chiaro che lo scopo più prettamente politico del governo Draghi è quello di fare da balia ad un futuro governo Salvini, mondato del proprio peccato originale grazie ad un periodo di quarantena sotto la sua guida.

Dunque, non potendo più far nulla per evitarlo, la UE “aiuta” Salvini ad entrare lavandosi per bene le mani, facendogli scuola, prima di affidargli la guida della seconda economia manifatturiera d’Europa. Questa è, a mio avviso, la funzione storica del Governo Draghi, dal punto di vista politico. Ancora una volta, Draghi farà il lavoro per il quale viene assunto.

In questo gioco, il PD conserverà il posto che si è guadagnato in questi anni. Cioè quello di una forza secondaria che non riesce a fare un salto di qualità, ma che non riesce a morire grazie alla persistenza in Italia di una significativa minoranza di (centro) sinistra. I 5 Stelle, al contrario, rischiano l’estinzione. Non saranno “competenti”, ma i loro elettori non sono camaleontici come quelli leghisti. Forse Di Battista farà un suo partito di nostalgici, o si prenderà i transfughi del governo Draghi, quando egli (continuando a fare da garante a Salvini per qualche altro anno) sorveglierà il gioco dal Colle. Se tutto questo ha un senso, il governo Draghi sarà molto politico.

Forse il più politico da molti anni a questa parte.

2 Comments

  1. Franco BG

    A prima vista difficile non concordare con le tue “osservazioni”. Dal punto di vista della critica politica il tuo punto di vista mi sembra un po’ amministrativo, carente di quella visionarieta’ di cui vai cantando le lodi. Sei anche tu pragmatico infine e spilli dal possibile il massimo spillabile evitando di porre un rifiuto di tipo ideologico. Non so che dire, mi sembra che la politica filosoficamente si debba arrendere al fatto che la classe dirigente ha prosperato sull’appoggio incondiziinato di un ventennio in cui votare il meno peggio sembrava una cosa democratica e che tutto ciò abbia portato ormai ad una delegittimazione concreta sostenuta dai fatti. (questo accettare tutto ciò ha portato anche ad una lenta degenerazione della coscienza di classe e al vuoto pneumatico di alternative rispetto all’accettazione del capitalismo). Ora se il nostro orizzonte migliore debba essere quello di augurarsi la sottrazione, da parte del capitalismo finanziario aggressivo, di uno spazio d’azione politico esercitato con tanta incompetenza dai partiti da non saper garantire una transizione “misurata” verso un mondo fatto di ricchi e sudditi, questo non lo so. Certo che non c’è nessun progetto che possa aprire spazi alternativi. Scrissi mesi fa su Draghi dicendo chiaramente che la sua ricetta Keynesian sarebbe stata l’unica possibile per salvare il salvabile, perché non è possibile nessuna transizione immediata che lasci milioni di lavoratori e piccole aziende sulla strada, e che lui sarebbe stato la persona giusta per fare tutto ciò. Ora però avendo una piccola azienda ho appena sperimentato, negli ultimi mesi che non sono riuscito ad ottenere, ne il prestito da 25% sul fatturato con tetto dei 30.000 euro ne la merdosa fideiussione assicurativa per riscattare il 40% di un bando regionale… ciò che voglio dire che Draghi nel suo voler raddrizzare le sorti di una società sull’orlo del baratro, si troverà a doversi scontrare con ciò che lui stesso ha creato per i suoi passati padroni… e non so se riuscirà a portare a casa il risultato smontando Basilea 3 e tutte le ristrettezze sull’accesso al credito che lui stesso ha contribuiro a costruire. Il recovery fund arriverà e salverà un po’ di lavoratori ma non salverà le partite iva ne le micro imprese, e la sua azione sarà destinata a rafforzare una verticalizzazione che tende ad annullare il valore dell’impresa indipendente e del professionista non inquadrato in un sistema di relazione protette. Certo l’alternativa forse non esiste, ma se devo morire preferisco morire cone mie idee in ogni caso, dicendo chiaramente quanto questa soluzione rappresenti la cessione definitiva da pare della politica del mondo all’economia capitalista finanziaria, con tutte le sue conseguenze. Sei stato molto chiara sulla competenza, ma mon è ciò che si sta affermando a livello di coscienza, anzi c’è un triste ritorno all’uomo della provvidenza e alle aristocrazie, e i poveri 5Stelle, malgrado gli abbia odiati per la loro stupida sensibilità onesto-provinciale, mi fanno quasi pena. Stiamo a vedere. Intanto a porta a porta stanno incensando Renzi..

    • svoltaggio

      Dove si evince che io “mi auguri la sottrazione da parte del capitalismo finanziario di uno spazio e d’azione politico”? Nel post sostengo 5 cose:
      1. Che quelli che dicono che la politica è finita perché arriva Draghi non hanno capito cosa sta accadendo perché…
      2….Il governo Draghi è un governo il cui fine è squisitamente politico, nel senso che serve a mantenere l’Europa politica in vita, non quella finanziaria. La politica non è solo quello che di giorno in giorno ascoltiamo in tv, ma è, nel nostro mondo, soprattutto GEOpolitica
      3. Sarà politico nel senso che ha la funzione principale di portare la Lega al governo in modo potabile.
      4. Che la storia dei “competenti” in politica, così come essa è declinata oggi, è una scemenza.
      5. Che non credo (ma questo è opinabile e si vedrà, mentre i primi quattro punti lo sono di meno) che sarà un governo lacrime e sangue.
      Mi auguro che l’operazione funzioni? Francamente è una domanda alla quale non so rispondere. Io credo che la Lega sia un partito potenzialmente pericoloso. Se questa operazione dovesse riuscire a smussarne la pericolosità me lo augurerei. Ho i miei dubbi, ma può darsi che mi sbagli. In ogni caso il senso del post è che la finanza, con questo governo, non c’entra niente. Questa è una operazione tutta politica. Se poi noi non sappiamo farla, la politica, è un’altra questione.

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